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Le grandi manifestazioni sportive sono da sempre un polo attrattivo per numerose aziende, pronte a stipulare contratti multimilionari per essere designate come sponsor ufficiali dell’evento. Ma cosa succede agli sponsor che non riescono ad entrare in questa prestigiosa élite? La legge, imponendo l’esclusività commerciale, vieta la sponsorizzazione di due prodotti appartenenti allo stesso comparto merceologico nel corso della medesima manifestazione: ad esempio, se durante un evento sportivo una marca produttrice di bevande è stata designata come sponsor ufficiale, nessun’altra azienda che produce la stessa cosa potrà essere considerata come tale.

Semplice? In teoria si…

ma quando si arriva ai fatti notiamo che difficilmente i competitors degli sponsor ufficiali gettano la spugna ed ammettono la sconfitta. Nasce così l’ambush marketing, una pratica del marketing non convenzionale che ha come obiettivo la sponsorizzazione parassitaria di un brand che non appartiene agli sponsor ufficiali di una manifestazione.

Il primo esempio di ambush marketing all’interno di una manifestazione sportiva è datata 1984 nel corso delle Olimpiadi di Los Angeles: la produttrice di macchine fotografiche Fuji ottenne il contratto di sponsorship ufficiale dell’evento, ma la diretta concorrente Kodak decise di acquistare una massiccia dose di spazi pubblicitari trasmessi in tv nel corso della manifestazione sportiva: copiando lo stile comunicativo di Fuji riuscì ad imprimere talmente bene il brand nella mente dei consumatori da passare come main sponsor, rovinando l’ingente investimento monetario della rivale.

Il passaggio dalle olimpiadi al calcio è breve: durante gli Europei che ebbero luogo In Portogallo nel 2004 una casa produttrice di birra omaggiò i tifosi di un cappello a punta del colore tipico della propria lattina, accedendo così all’interno degli stadi ed esponendo alle tv mondiali il proprio marchio, a dispetto dello sponsor ufficiale della manifestazione anch’esso produttore di birra.

Senzanome

Ancora, durante i mondiali del 2010 in Sudafrica la birra la fa sempre la protagonista: la Bavaria regalò ai tifosi olandesi delle magliette “griffate” con il suo marchio da indossare durante le partite, perfettamente consapevole che lo sponsor dell’evento fosse Budweiser. Per questo motivo un gruppo di tifose olandesi che indossavano la maglietta fu addirittura fermato dalle forze dell’ordine ed invitato ad uscire dallo stadio.

Tutto cio è legale? Teoricamente no, ma la normativa vigente in termine di sanzione della concorrenza sleale prevede soltanto multe da pagare dopo che l’evento si sia verificato: nel caso considerato risulta estremamente difficile, se non impossibile quantificare il danno che l’ambusher procura al main sponsor. L’unica arma ad oggi a disposizione degli sponsor ufficiali è la prevenzione, allertando preventivamente le autorità in caso di sospette azioni future e cercando di limitare al massimo il possibile sfruttamento delle proprie campagne promozionali da parte dei competitore.

Detto questo…assisteremo a qualche sponsorizzazione parassita nel corso di Russia 2018? Stay tuned!

 

Daniele Fanciulli

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