Quando Maradona il 5 Luglio del 1984 calciò il suo primo pallone al San Paolo, scagliandolo in cielo per la gioia dei tifosi partenopei avevo quattordici anni e anche io giocavo. Davanti al primo vero fenomeno che dagli anni Ottanta alla prima metà dei Novanta calcava i campi di gioco davanti a noi che eravamo nati a cavallo o dopo il trionfo mondiale di Pelè in Messico, gli occhi ci brillavano davanti alle sue magie.
Mai vista tanta potenza e classe unita a cotanta furbizia, velocità di pensiero e azione, nonché ad una grinta espressa non nella cornice di un fisico possente o prepotente, ma per merito di una muscolatura agile e potente che seconda soltanto a quella dei felini, mi insegnava la cultura dell’allenamento settimanale.
Guardandolo giocare e correre come una tigre, avevo capito che soltanto costruendo con sudore e sacrificio un fisico allenato come il suo, avrei potuto provare a diventare l’attaccante che nei miei sogni avrei voluto essere da grande.
Vederlo palleggiare e toccare, calciare il quoio come lui solo sapeva fare, fu per me una scuola, direi un catechismo vero e proprio che nel tempo mi diede calcisticamente parlando non poche soddisfazioni.
Fu lui ad insegnarmi sebbene da molto lontano il divertimento nel giocare a pallone e fu sempre lui ad inculcarmi la gioia di regalare finezze e altrettante gioie a chi mi vedeva giocare: compagni e tifosi.
Quando per le note vicende che tutti conosciamo la sua carriera finì malamente fu da una parte un dolore intimo e intenso, ma dall’altra un nuovo e ancora più importante insegnamento: mai lasciarsi prendere e trasportare dal lato oscuro della forza!
Un insegnamento sapienziale che anche dopo aver smesso di giocare a calcio ho sempre applicato e fatto mio. Uno dei tanti dei quali ringrazierò sempre Diego Armando Maradona.
Un uomo libero prima di un atleta unico e inimitabile che non si è mai piegato ai poteri forti e anzi li ha sfidati, pagandone lo scotto a caro prezzo, ma non prima di aver dato un contributo importante ed esemplare per elevare gli ultimi facendoli sentire i più importanti e amati da Dio.
Quel Dio che dopo averlo perdonato col sigillo della morte per gli errori umani da lui compiuti per la soverchiante forza dovuta dalla convivenza in un sol uomo delle emozioni e passioni di una intera e forse più generazioni, da ieri ha probabilmente incontrato in cielo.
Lassù, dove gli dei dello sport e dell’arte riposano nell’attesa di resuscitare nel regno eterno che ci è stato annunciato e promesso e che con la sua bravura calcistica, Diego ci ha già in qualche modo fatto intravedere.
Cari giovani e care ragazze che a differenza mia non avete vissuto quegli anni meravigliosi in cui giocava: CHE VI SIETE PERSI!