Il feretro fu portato a spalla dal personale addetto alle onoranze funebri. Percorse lentamente il corridoio principale e si arrestò davanti all’altare in stile gotico, prima dei gradini marmorei. Teneri boccioli di rose bianche spiccarono tra le foglie del cuscino floreale adagiato ai piedi della bara. Alla sua destra, era ben visibile la fotografia della defunta.

Il silenzio scese fra i presenti e fu interrotto dai soli singhiozzi di Oriana malamente soffocati. La ragazza guardò con nostalgia il ritratto della madre e sussurrò più volte la parola “mamma” cedendo alle lacrime inconsolabili.

Durante la celebrazione delle esequie non tolse mai lo sguardo dal feretro e rimase stretta al braccio della zia, cercando nell’affetto della parente la protezione necessaria per non sentire il peso della solitudine da cui si sentì soffocare.

Ad un tratto un uomo, protetto nello sguardo dalle lenti scure, consapevole di attirare l’attenzione dei presenti, si avvicinò a passo lento e rimase immobile per pochi secondi dinnanzi alla bara di mogano lucido, intento a fissare il ritratto della donna che un tempo era stata sua moglie.
Fece il segno della croce e come ultimo saluto sfiorò lo spigolo della cassa con il palmo della mano. Solo dopo, si avvicinò alla figlia.

Oriana non avrebbe mai voluto stargli accanto ma dovette desistere dall’allontanarsi per non rendere pubbliche le manifestazioni di rancore che ultimamente provava per il genitore, sollevato persino dall’essere considerato tale.

Composta nel suo dolore rimase in silenzio ma non poté sottrarsi ai repentini ricordi rievocati alla vista dell’uomo, il quale, continuò a sussurrare il nome della figlia e a cercare la mano di ella, scontrandosi con la reazione infastidita della ragazza, determinata a non accettare alcun tipo di consolazione.

Oriana non tollerò la sfacciata ipocrisia ostentata dall’ uomo nell’essersi presentato ai funerali della ex moglie a cui per anni aveva fatto una spietata guerra legale, per via dell’ affidamento della figlia ai tempi dell’infanzia.

L’uomo infatti, aveva tentato ogni calunnia possibile per indebolire la difesa dell’ ex moglie definita non adeguata a crescere Oriana. La donna, di indole fragile e preda di un forte esaurimento fu costretta ad affrontare un lungo periodo di cure, presso una clinica psichiatrica.

Ciò nonostante, non riuscì a guarire né a trovare la forza necessaria per reagire all’isolamento forzato dall’ unico amore sincero avuto dalla vita: la figlia.

L’istinto di Oriana nel voler cacciare il padre da quel luogo sacro scatenò una lotta interiore con l’ipocrisia e alla fine cedette a essa. Finse di avere accanto a sé il “nulla”  e contrastò l’ingombrante  presenza dando sfogo a un monologo mentale, mentre l’uomo sussurrava a tratti il suo nome.

Zitto… stai zitto… non proferire alcuna parola e abbi almeno la decenza di non lasciarti andare a evocazioni banali, utili a ripulire un animo nato, ahimè malvagio. Onora almeno il luogo sacro in cui ci troviamo e non distruggere la potenza del silenzio interrotto solo dai miei singhiozzi disperati.

Ho appena perso chi sopperiva alla solitudine del mio cuore, già condannato da una crudele infanzia, rinnegata e calpestata da colui che avrebbe dovuto proteggerla.
Ricordo sai? Quelle rare volte che mi veniva concesso di andare a trovare mia madre in quella clinica dove era stata costretta a rifugiarsi per scampare alla tua perfidia.

Spendeva il nostro breve tempo assieme, insegnandomi a parlare d’amore mentre tu cercavi di svezzarmi sempre di più all’odio verso colei a cui mi avevi sottratta con l’inganno. 

Le dolci parole di mia madre erano manifestazioni di umiltà perse nella ferocia della tua infinita arroganza e mentre lei invocava il perdono divino per non essere stata all’altezza come madre, seppur in assenza di colpe, tu acclamavi la vendetta terrena con i tuoi mezzucci e l’animo impregnato di rancore.

Vile, come il peggiore degli esseri infami, hai calunniato il suo operato, lo hai sporcato con le menzogne e hai permesso che ci dividessero per soddisfare la sete della tua assurda vendetta.

Sappi di non essere riuscito a defraudarla dalle imponenti virtù che possedeva e ancora oggi, umiliano il tuo essere. Abbi dunque la dignità di tacere poiché non concederò ascolto alle subdole ragioni che tenterai di pronunciare e non proverò sollievo nell’udire che mai qualcuno ti ha insegnato ad amare.

Se lo facessi, ostacolerei la verità, opporrei resistenza a essa e cederei alle tue false giustificazioni proprio come quando ero bambina.

Pertanto rimani in silenzio perché non hai diritto di parola né di confondere chi ti sta osservando, ignaro della tua ipocrisia, confusa dal finto commiato.

Quel pizzico di pudore, ereditato per volontà celeste, non è mai germogliato e la semina, penosa e priva di scrupoli è stata fonte di dolore e malesseri per tutti coloro che hanno cercato di amarti, mia madre compresa.

Nell’aria, aleggia ancora la scia dei sui tormenti, alimentati dalla tua perfidia!

E io la ricordo, sì… la ricordo ancora, avvolta dalla malinconia e avvilita dalle menzogne e dai tuoi tradimenti, seduta sulla sponda del fiume nell’attesa silente di vedere il  “giunco” rialzarsi per ricominciare a vivere appieno la vita con la leggerezza gioiosa tipica di una madre appagata dall’ amore della sua bambina.

Con l’ardore, motivato dalla speranza, la sentivo spesso pregare dinnanzi a una sacra effigie e solo attraverso le parole benedette era in grado di contrastare il servigio scaturito dalla tua insulsa semina e renderlo a me innocuo per poter credere ancora in te… come padre e come uomo.

Sorridente al calare del sole, la ricordo ancora ringraziare la meraviglia di un giorno pienamente vissuto in mia compagnia.

E quando era costretta a lasciarmi andare, la delicatezza del suo dolore rimaneva nascosto in lei e rendeva sopportabile la nostra separazione, mentre tu, alla vista del mio volto  crucciato, avanzavi al destino le infamanti pretese di odio e mi usavi per attuarle contro lei.

Non ho ancora rimosso il triste ricordo delle notti, accucciata al cuscino bagnato dalle mie lacrime, sola in una stanza a me estranea, buia e silenziosa, resa ancora più fredda dall’amarezza del tuo egoismo.

Mi strappasti all’amore di mia madre, come un ladro di anime e soddisfatto del “bottino” conquistato soddisfacevi il tuo ego.

Non parlavi mai d’amore e mai hai voluto conoscere la mia essenza. Tu ordinavi, compravi e infine tradivi… Con il tempo e le amare esperienze, ho imparato a discernere il bene dal male, ho dato loro un volto e ho selezionato gli affetti importanti custodendo i veri ricordi e tu non ne farai mai parte!

Reagirò alla solitudine, alla tristezza e mi concederò al valoroso insegnamento di mia madre fatto di perdono ma oggi sarò severa, persino con me stessa e non ti assolverò. 
Fissa pure il mio sguardo ma non proferire parola. Non ti permetterò di manipolare il mio dolore e mai cercherò conforto in te.

L’omelia appena udita non ha reso giustizia alla cattiveria umana né al valore di quel feretro su cui affondano le lacrime di chi l’ha amata veramenta. Lei era molto di più. Era il tuo opposto e lo hai contrastato per non permetterle di indurti al cambiamento.

Ti sei venduto all’ipocrisia del tuo voler essere, preferendo sguazzare nella malvagità innata anziché redimerti. Dunque… vai via,  il tuo posto qui è inadeguato proprio quanto il suo.

Rimarrò ferma, osserverò il vivere di tutti e non più il tuo, resetterò l’agire trascorso e attenderò il giorno che verrà carica di speranza.

E tu ora sei libera mamma, non sei più ostaggio della tua sofferenza. Vola più in alto che puoi. Io continuerò a vivere anche per te e sorriderò ai nuovi germogli della vita… come tu mi hai insegnato!

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