Il tema delle dipendenze da sostanze stupefacenti è molto delicato ma riguardo le forme di prevenzione, cura e repressione c’è molto da dire e soprattutto da fare.

È evidente che il carcere è il luogo peggiore per aiutare i ragazzi dipendenti dalle droghe e che la sensibilizzazione deve essere rivolta verso una nuova progettualità di sostegno e aiuto.

Occorrono pertanto più comunità e psicologi validi a cui potersi affidare, ma più di ogni altra cosa servirebbe quell’amore che i nostri ragazzi faticano a respirare, cercando alternative autodistruttive nella droga che per alcuni appare una scorciatoia.

Una strada cieca spesso intrapresa per togliere dall’anima tutte le inibizioni, i conflitti e le paure…

Del resto, come canta Renato Zero: “Un drogato è un malato di nostalgia”.

Ragionando in tal senso, i nostri ragazzi e in generale i consumatori di sostanze devono essere educati ad affrontare e non a subire la vita.

E ciò non può non avvenire sia attraverso il confronto con coloro che sono fuoriusciti dalla dipendenza, sconfiggendo paure e debolezze, che potendo beneficiare degli strumenti per superarla e non solo di medicinali.

E quando tutto ciò non lo si trova in famiglia lo Stato deve necessariamente sostituirsi ad esse.

Le comunità serie sono aggregazioni valide per permettere alle vittime di sé stessi e della solitudine la dovuta rigenerazione; quella di un nuovo flusso vitale, capace di mettere a confronto il dolore e il coraggio per vivere appieno la vita.

Ogni caduta necessita del supporto adeguato per rialzarsi e chi è più debole non deve essere ulteriormente gravato da pesi e ulteriori disperazioni ma bensì idealmente abbracciato e concretamente aiutato a scegliere la via del bene e generare nuovo amore.

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