Era un uomo semplice, nonostante lo stemma araldico appeso alla parete dell’antica dimora, quella in cui era cresciuto.

Era un uomo cordiale e non negava mai l’augurio di una buona giornata a chi incontrava per caso. 

Si entusiasmava con poco e da quel poco respirava grazia e riconoscenza alla vita. 

Circondato dalle sole abitudini quotidiane, traeva da esse il conforto necessario per non crucciarsi mai della solitudine e mai risaltava la monotonia del tempo, scandito costantemente da gesti semplici e uguali…

Era vivo e ringraziava Dio.

Nelle lunghe giornate invernali, poi, se uno spicchio di sole faceva improvvisamente capolino, lui si entusiasmava e lo accoglieva con la solita passeggiata fra le viuzze del luogo natio fino ad arrivare alla piazza, la cui forma circolare, ospita ancora oggi l’edificio municipale dalle antiche origini feudali, e con la flemma dei suoi anni, continuava a camminare fino ai giardini rigogliosi e profumati di bianco gelsomino. 

Si soffermava all’entrata di essi per poi sostare in contemplazione alla statua del santo protettore, quello a cui rivolgeva devoto ringraziamento per la forza ricevuta nell’ andare avanti… ogni giorno. 

Non cedeva mai alle doglianze, né alla sofferenza per la lontananza dei figli e neanche allo smarrimento del tempo o al richiamo doloroso dei ricordi durante le notti buie e tormentate dai silenzi. 

Era un uomo dotato di una forza interiore quasi invincibile e mai mostrava ad alcuno la sua essenza malinconica, preferiva raggirarla con orgoglio, pur di non rendersi vittima di essa.  

Aveva appena seppellito la giovane sposa, madre dei suoi figli, eppure determinato com’era a reagire alle intemperie della vita, non si era sottomesso al dolore struggente neanche quella volta. 

Non pianse… no, non lo fece, ma gli occhi lucidi, esausti per tale fermezza imposta, tradirono l’innaturale controllo e lasciarono carpire il suo dolore. 

E io lo ricordo… sì,  ricordo ancora quella scena scolpita nella mia mente dalla forza dell’affetto per me nutrito.

Guardò il mio volto segnato dalle lacrime, scansò il suo dolore e accolse il mio. 

Mi rassicurò con un lieve sorriso e insieme continuammo a seguire il feretro, nella reminiscenza silenziosa della rievocazione dei ricordi di ognuno. 

Lui era un esempio di forza umana e grande coraggio, e dinnanzi alle difficoltà amava rifugiarsi nella quiete indisturbata dalla frenesia della vita e lì, in compagnia di sé stesso, si lasciava andare alla saggezza della riflessione e solo dopo riabbracciava l’orgoglio ritrovato e l’entusiasmo di sempre per non essersi arreso alla solitudine.

Sapeva di essere definito un uomo condannabile per le “manie ossessive”, sopraggiunte oltre i limiti con l’avanzare dell’età. 

Forse si considerava un anziano come tanti… retorici, petulanti a volte e infine smaniosi di quiete assoluta, quasi a sfatare la paura del mistero della morte.

Contrastava con l’ironia l’idea di sentirsi un attempato compatito e abbandonato a un destino segnato, seppur… non ancora finito. 

Già… i “vecchi” diceva spesso: “quelli che infastidiscono, diventano ingombranti”… enormi pesi che la frenesia del presente rilega agli angoli della vita… e spesso sfrutta. 

Vite al limite di una società in delirio… che non sa amare e non conforta più gli stessi uomini che un tempo hanno goduto della vita e ora sentono il peso di essa. 

Uomini che hanno fatto la storia dei valori, amati e protetti con spasmodica fede, nutrita e difesa con il livore dignitoso dei sacrifici, posti alla base del quotidiano come pegno dovuto alla vita stessa… per essere vissuta appieno.

Uomini, ormai lontani dai riflettori, dalle urla arroganti, spogliati dai condizionamenti e dalle bramosie superbe, non più intransigenti e non più in possesso del tempo glorioso… 

Uomini soli, abbracciati all’ultimo brandello della propria essenza, eppure, capaci di trasmettere ancora quel senso di epica e di romanticismo, tipico degli animi buoni in attesa di ricevere una carezza spontanea, forse l’ultima in cui rifugiarsi.

Sguardi oramai indifesi e occhi perennemente lucidi proiettati nell’esplorazione del nulla o …semplicemente persi nei ricordi degli affetti cercati nella quiete, ora dolorosa… malinconica e lontana.

Protagonista acclamato dal suo stesso destino, aveva portato avanti il ruolo stabilito e per lui scritto. Non si era mai  sottratto ad esso né alla vita imperante e poco  costellata di dolci note. 

E fu nella potenza della luce che visse al richiamo della natura e dei suoi ritmi… fino a quando si accasciò improvvisamente… mentre attorno a lui la vita continuava a pullulare di chiacchierio e gioviali entusiasmi.

Abbandonò il corpo oramai stanco e affievolito dalle esperienze, vissute nell’alternanza della gioia e dei dolori acclamati per inseguire le tenebre del lungo sonno.

E io lo ricordo …e continuerò a tramandarlo fino a renderlo immortale.

A mio padre ❤️  

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