Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l’anima in fiamme.
Henry Charles Bukowski

Cari lettori e cari amici,
con grande emozione vi presento Anna Cantagallo. Non aggiungo altro… Vi auguro una buona lettura.

Io desideravo compiere il mio percorso di vita, personale e professionale, assieme a un uomo che mi lasciasse libera di esprimermi pienamente senza i vincoli dettati dalle costrizioni precedenti. Un compagno di vita condivide le aspirazioni e non le ostacola. Il suo rispetto ha fortificato la mia autostima” Anna Cantagallo

Chi è Anna Cantagallo? Parlaci di te come persona. Dove vivi, che cosa fai, che cosa ami, le tue passioni.

Vivo con mio marito, il mio compagno di vita, a Roma, alla Garbatella, quartiere che cito nel mio romanzo. Ora che ho lasciato il lavoro di medico, mi dedico appieno alle mie passioni, che definirei meglio come le mie curiosità. In epoca pre-covid a occupare il mio tempo sono stati i viaggi. Dopo aver girato il mondo, da qualche anno io e il coniuge ci dedichiamo alla scoperta di un’Italia così detta “minore”, ma tanto sorprendente. Come esempio, riporto una chicca in cui ci siamo imbattuti durante un giro nelle Marche questa estate, nel breve periodo di quiete dopo il primo lockdown: visitando una chiesetta ho scoperto l’esistenza di una copia medioevale della Tabula Peutingeriana, ovvero una carta della rete viaria romana con tanto di stazioni di sosta, delineate con tale precisione da far invidia a una moderna mappa stradale! In questo periodo in cui sono obbligata a muovermi poco, facendo il bradipo in casa, mi dedico ancor più alla cucina. Mi cimento in ricette antiche che necessitano di molto tempo per essere eseguite, per la gioia di chi mi sta accanto e dei miei figli a cui va garantito un assaggio consistente.

Arazzo Familiare è il tuo primo romanzo, giusto?

Sì. Ho impiegato dieci anni per scriverlo. Ho avuto bisogno di molto tempo per pensare: volevo essere chiara nel mio obiettivo. In aggiunta, oltre a rinverdire dei ricordi familiari sollecitati da foto, ricette e appunti, dovevo trovare le informazioni storiche necessarie all’ambientazione in cui collocare le tre storie. Gli avvenimenti descritti sono realmente accaduti: durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi, per sviare gli Alleati, si fecero costruire dalle maestranze di Cinecittà dei finti carrarmati in legno, collocati in zone diverse da dove erano abilmente nascosti quelli veri. Ero diventata di casa alla Biblioteca Centrale di Roma.

Arazzo Familiare narra la storia di tre generazioni di donne, delle loro conquiste e dei diritti conquistati. Da dove nasce questo tuo bisogno di raccontare le donne?

Nasce dalle mie riflessioni sulla donna d’oggi, partendo dalla mia storia personale. Io stessa mi sento una donna nuova. Sono stata allevata all’antica, ovvero addestrata a essere la “brava ragazza” con competenze e abilità nel gestire la casa, come nel destreggiarmi in cucina. Ma io ho potuto studiare e poi fare il medico. Negli anni in cui sono entrata nella professione, come medico ospedaliero, la presenza femminile era meno del 10%. Ora sono più le donne medico dei colleghi maschi. Le ragazze si applicano di più negli studi, riuscendo anche meglio, ma, purtroppo, sono bloccate nella carriera. Una professione così impegnativa per il tempo e l’energia da dedicare ai pazienti, che richiede un continuo aggiornamento, mal si confà con la vita personale. Per quello che mi riguarda, credo che l’addestramento materno mi abbia aiutato a fare i così detti “salti mortali” per conciliare il lavoro e la famiglia. Penso che, per le donne d’ oggi, il grande ostacolo all’equilibrio tra la vita professionale e quella personale sia il fattore tempo. Per raggiungere posizioni di responsabilità le donne devono essere disponibili a dare tanto, troppo tempo al lavoro. Su questo aspetto si dovrà ancora riflettere, prendendo ispirazione dalla struttura sociale dei paesi del Nord Europa, dove sembra sia più facile combinare la vita professione e quella personale.

Le ricette di cucina contenute nel romanzo raccontano di legami e tradizioni di famiglia. Vuoi parlarcene?

Le ricette di cucina costituiscono un’eredità che passa da una generazione all’altra. Chi lascia un bagaglio di informazioni, di nozioni, di trucchi non solo arricchisce una abilità, ma potenzia un tesoro olfatto-gustativo che si iscrive nella memoria profonda. Esiste una ghiandolina nel cervello, l’amigdala, che è il luogo dove si racchiudono le tracce mnemoniche più antiche legate agli odori. Una specie di scrigno dove sono custoditi i nostri ricordi che, meravigliosamente, vengono riportati alla coscienza se aleggia un profumo famigliare o si espande in bocca un sapore dimenticato. Il cibo parla di casa, di accudimento, di famiglia. Per le tre protagoniste il cibo, nelle sue declinazioni culinarie, è un continuo rinnovare questo tesoro.

I tuoi protagonisti rappresentano e incarnano, in taluni casi, gli istinti più bassi dell’uomo. Chi o che cosa ti ha ispirato nel descrivere i rapporti intrafamiliari tra donna e uomo e i rapporti, invece, di sorellanza?

I protagonisti sono inseriti nel loro periodo storico e si comportano coerentemente con il fare comune. Penso di non aver sollevato nessun stupore anche nei rapporti familiari. Chi ha qualche annetto sulle spalle ricorda bene come erano. Per i giovani suggerisco di vedere i Vitelloni di Fellini, in particolare la scena in cui Franco Fabrizi, che interpreta il vanesio del gruppo, viene preso a frustate dal padre a cui si rivolge con il Voi. Siamo nel 1953! Di sorellanza non si parla – ancora non esisteva il concetto – perché la si mette in pratica. Quando le amiche aiutano Marilì a travestirsi perché possa andare a riprendere sua figlia, lo fanno con generosità e ingegno. Le generazioni che ci hanno preceduto avevano ben chiaro il senso della solidarietà. Aiutarsi nei momenti di difficoltà era cosa comune tra le donne, le meno protette dalla violenza maschile o, più banalmente, dall’ineluttabilità del loro destino. Questo afflato non era stato ancora inquinato dall’invidia visto che quasi tutte condividevano situazioni più o meno simili.

Anna Cantagallo ha partecipato ai moti del 1968? Ha faticato come donna nel mondo del lavoro? Se non sbaglio sei un medico…

Ho vissuto direttamente i moti del ’68. Ho visto con i miei occhi l’episodio descritto nel romanzo della panca lanciata del secondo piano della facoltà di Giurisprudenza su i ragazzi sottostanti. Di quel periodo ricordo le infinte discussioni sulla società e sulla famiglia. Ho cercato di vedere l’aspetto innovativo, ovvero la possibilità di una vita di coppia diversa. La parità tra i sessi, sbandierata in quegli anni, non sempre si è tradotta in vero rispetto tra uomo e donna. Io desideravo compiere il mio percorso di vita, personale e professionale, assieme a un uomo che mi lasciasse libera di esprimermi pienamente senza i vincoli dettati dalle costrizioni precedenti. Un compagno di vita condivide le aspirazioni e non le ostacola. Il suo rispetto ha fortificato la mia autostima.

Il ruolo del nuovo diritto di famiglia nel tuo romanzo.

Ne accenno in modo indiretto nella storia che riguarda la seconda donna, Marilì. Dopo quasi dieci anni di assenza, il marito creduto morto si ripresenta a casa. Per prima cosa quest’uomo pretende, come era nel suo diritto maritale, che la moglie si licenzi dal lavoro per stare a casa. Marilì deve obbedire. Quando l’uomo l’abbandona per la seconda volta, in modo definitivo, Marilì stenta a sopravvivere senza risorse economiche. Un amico di famiglia l’aiuterà a uscire dalla situazione.

Com’è la donna del 2021? Cosa credi abbia portato, nel bene e nel male, l’emancipazione femminile?

L’emancipazione femminile ha aiutato le donne a creare dentro di sé la giusta dose di autostima, utile per porsi degli obiettivi anche ambiziosi. Tuttavia, credo sia necessaria una riflessione sul concetto stesso di emancipazione. Se ancora molto si deve fare per tutelare i diritti sociali già acquisiti, poco si discute sui vincoli che noi donne ci autoimponiamo. Nel 1991 Naomi Wolf individuò chiaramente, nel suo saggio Il mito della bellezza, la nuova schiavitù che riguarda le donne. Citando le sue parole: “Le donne occidentali, belle o brutte, stanno rovinandosi, perdendosi, piegate sotto il peso di una nuova mistica della femminilità che non esalta più la casa, la purezza o la maternità, ma qualcosa di più terribile e insidioso: la bellezza”. Si è passati dal senso di inadeguatezza femminile alimentato dagli uomini a quello creato dalle donne sulle donne. Il confronto sulla bellezza e sulla più preoccupante tendenza alla magrezza si svolge in un agone esclusivamente femminile in cui l’uomo è uno spettatore disattento. Stimolato dagli ormoni che impongono la riproduzione, l’uomo è attratto visivamente da una donna con un basso rapporto vita fianchi, indice di fecondità, e dalla sua disponibilità all’accoppiamento. A tanta banalità della natura, le donne d’oggi rispondono negandosi alla riproduzione. Eppure, in questo periodo storico assistiamo alla continua stimolazione del desiderio maschile con manifestazioni anche esplicite di seduzione femminili. Sebbene la percezione della potenza del proprio capitale erotico potrebbe temporaneamente rincuorare, va ribadito che questo capitale andrà sempre più scemando fino a che l’orologio biologico rallenterà i battiti per poi spegnersi.

Come vedi la generazione 2000 e come muterà, secondo te, la figura della donna?

Se non si affronta la problematica del mito della bellezza, specchio della nuova inadeguatezza percepita dalle donne, credo che si sprechino tante energie vitali inutilmente. Un vecchio proverbio dice: fino a quaranta anni, hai addosso l’eredità che ti ha dato la natura; dopo, hai quello che ti sei costruito.

Iscrizione come Opera Prima al Premio Campiello: immagino sia stata una grande emozione! Come la vivi e come la vivono le persone che credono in Arazzo Familiare e nella tua penna?

Partecipare al Premio Campiello come opera prima sarà molto emozionante. Questo premio, infatti, prevede che l’Opera, dopo il necessario filtro di una giuria tecnica che ne vaglia l’appropriatezza formale, venga sottoposta al giudizio di trecento Grandi Lettori. Questi sono delle persone che hanno il piacere assoluto della lettura, impegnate nella missione della ricerca di nuove voci letterarie italiane. Mi auguro che il mio romanzo trovi in loro un riscontro positivo.

Hai già pensato al prossimo libro?

In questo periodo, sono impegnata a scrivere il sequel di Arazzo familiare. Ho lasciato, infatti, delle situazioni irrisolte o, per riallacciarmi alla metafora dell’arazzo, dei fili sospesi. Dei lettori curiosi mi hanno chiesto: «Come andrà vanti la storia?» L’unico indizio che ho potuto fornire riguarda le vicende dell’ultima donna, quella che avuto molto dalla vita professionale, che si scontrerà con il dilemma degli affetti.

Cosa speri per il futuro? Te la senti di dare qualche consiglio alle donne?

Suggerire è sempre difficile perché ciascuna generazione vuole decidere secondo il proprio punto di vista. Sicuramente un confronto sincero tra donne sullo spinoso argomento del mito della bellezza aiuterebbe la donna d’oggi ad emanciparsi veramente.

Grazie.

Michela Tanfoglio

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