L’anno del secondo decennio, arrivò puntuale allo scoccare della mezzanotte e fu accolto nella festosità dello scintillio colorato dei tanti festoni appesi alle pareti del salone. I lustrini applicati sugli abiti femminili si smossero con grazia nell’euforia dei corpi coinvolti dalla musica. Le note del samba rallegrarono gli animi già inebriati dallo champagne e dalle tante speranze evocate durante il rituale brindisi. Il buon auspicio di un anno proficuo calcò la speranza di propositi e progetti da realizzare.
Fiorella si estraniò dagli amici e si diresse all’interno di un’altra camera poco lontana dal frastuono del salone e da lì chiamò la madre al telefono per farle gli auguri. Sentì la sua voce assonnata, si scusò per averla svegliata e per averla lasciata da sola. La madre rassicurò amorevolmente la figlia di non darsi pena.
Era una donna anziana e la solitudine ormai da tempo le era amica, anche durante la notte più attesa dell’anno. Ringraziò la figlia, suggerì di continuare a divertirsi e di essere vigile durante il rientro verso casa. Fiorella sorrise alla raccomandazione ricevuta, la sentiva ripetere spesso, nonostante i suoi quarantadue anni vissuti da donna responsabile.
Il giorno dopo, Fiorella condusse la madre, elegantemente vestita, presso il ristorante più esclusivo della città e durante il pranzo la mise al corrente della sua imminente partenza per Londra.
La giovane donna era diventata una professionista molto ricercata nel settore del designer e aveva ottenuto una commessa prestigiosa a cui non poteva rinunciare malgrado il trasferimento in Inghilterra per un lungo periodo.
La madre, rassegnata all’ assenza costante della figlia, annuì alla notizia e pensò che era stata proprio lei a invogliare allo studio quell’unica creatura nata dal suo matrimonio, cessato improvvisamente per sorte effimera a causa della morte dell’ amato marito.
All’epoca della disgrazia, la giovane vedova, dovette accettare di svolgere svariate mansioni faticose pur di non fare mancare nulla alla figlioletta di soli tre anni e nonostante i sacrifici sostenuti, la dedizione attenta della madre colmò Fiorella di ogni necessità fino a quando ormai adulta, spiccò il volo verso la realizzazione desiderata.
Fiorella aveva ben raccolto i frutti ricevuti dall’ amore materno e attraverso i valori acquisiti, in merito alla crescita personale, aveva dato priorità alla professione di architetto e non sentiva ancora l’esigenza di formare una famiglia sua.
Il giorno della partenza per Londra, Fiorella si recò dalla madre al mattino presto. La trovò in giardino con addosso il grembiule nero, intenta a innaffiare il roseto spoglio di gemme. Le diede un abbraccio e la rassicurò che sarebbe rientrata prima della fine di aprile -quando le rose cominceranno a sbocciare nuovamente- disse la madre.
Attraversarono il vialetto di casa tenendosi sottobraccio fino al sopraggiungere del taxi. Fiorella in quell’occasione notò negli occhi della madre una lucidità più intesa del solito e si soffermò a osservarli. Percepì la dolce e spontanea tenerezza che solo i bambini e le persone anziane sanno esprimere, ignari di saperlo. Abbracciò nuovamente la madre e a lei si strinse.
La commozione raggiunta da entrambe fu messa a tacere dalla volontà di evitare il sopravvento della malinconia e rimasero strette l’una all’altra in un lungo silenzio interrotto dall’arrivo della vettura e dalle solite raccomandazioni materne.
I mesi vissuti dalle due donne si consumarono velocemente nell’alternanza del quotidiano, scandito da impegni lavorativi per Fiorella e malinconia per la madre nella preoccupazione incalzante delle notizie udite al telegiornale in merito alla pandemia in corso.
Fiorella durante la giornata, chiamava spesso e non risparmiava alla madre la raccomandazione di non uscire da casa. Avrebbe provveduto lei stessa a farle arrivare ogni necessità alimentare, grazie all’aiuto provvidenziale degli amici e la esortò a interpellarla per la qualsiasi cosa.
La madre dal canto suo, al corrente del ruolo importante ricoperto dalla figlia, non osò mai disturbarla ed evitò di farla preoccupare persino quando si accorse di avere una strana tosse e qualche linea di febbre. Pensò di aver preso un banale colpo d’aria recandosi in farmacia o al supermercato e non disse nulla.
Purtroppo non si trattò di un semplice raffreddore, bensì l’inizio del calvario, sperimentato nella piena solitudine e nell’amarezza di doversi arenare a un virus potente e sconosciuto che non aveva risparmiato neanche lei nonostante le precauzioni prese.
Fiorella, del malessere taciuto dalla madre, fu avvertita dal medico di famiglia. Lui stesso, preoccupato dalle condizioni di salute della paziente, aveva provveduto a inviarle l’ambulanza con urgente necessità del ricovero ospedaliero. La signora faticava a respirare, disse il medico e non era nelle condizioni di rimanere a casa da sola, anche perché, i sintomi riscontrati destavano il sospetto del contagio da Coronavirus.
Fiorella si agitò alla notizia, la madre non le aveva fatto capire mai nulla. Si chiese più volte dove avesse potuto contagiarsi e si adoperò per l’immediato rientro in Italia con non poche difficoltà. Durante quel triste periodo, la furia imponente del virus, aveva reso necessario arrestare qualsiasi forma di attività che non fosse di primaria esigenza.
Le città erano diventate di colpo lo spettro di se stesse, apparivano spente, prive di vita e dominate dal silenzio inquietante mentre i cittadini in balìa degli eventi, ascoltavano i vari notiziari e il susseguirsi dei decreti governativi emanati, consumando le giornate nelle difficoltà della coabitazione forzata con altri parenti e i tanti pensieri notturni per via del fermo imposto ai vitali guadagni.
Ogni cosa parlava di pericolo e… annunciava morte a sirene spiegate!
Fiorella, giunta in Italia, attraversò in fretta i saloni aeroportuali, anch’essi avvolti da muta desolazione. I negozi avevano le serrande abbassate e così anche le varie caffetterie. La scena veduta fu quella di un luogo inanimato e innaturale per un aeroporto a quell’ora del giorno. Le poche persone incrociate indossavano la mascherina e i guanti plastificati. Lo sguardo era vigile in ognuno, attento a non sfiorare l’altro.
Fuori dall’aeroporto Fiorella vide un taxi, salì a bordo e chiese di essere condotta in ospedale.
All’ingresso del nosocomio i due agenti di sicurezza le impedirono di entrare per precauzione. Fiorella chiamò un amico medico e grazie a lui ebbe il numero telefonico del reparto presso cui era stata ricoverata la madre. Parlò con un’infermiera e venne a sapere che la madre era arrivata in pessime condizioni e avevano deciso di intubarla, pertanto gliela avrebbero fatta salutare, attraverso un tablet, prima di sedarla. Fiorella ringraziò e rimase in attesa della chiamata appoggiata al muretto di pietra.
Era sconvolta e per la prima volta la paura di non essere accanto alla madre si trasformò in rimorso. Aveva sempre dato per scontato la sua presenza amorevole, come se nulla e nessuno avesse dovuto osare separale. Il fremito di dolore all’idea di perderla causò malessere e la indusse a piangere. Furono grandi momenti di ansia e paura poi arrivò lo squillo del telefono e Fiorella accettò la comunicazione.
Vide il volto della madre: pallido, stanco e smagrito. Affaticata per la mancanza dell’ossigeno, la donna, non riuscì a parlare. Commossa alla vista della figlia si sforzò di salutarla e interrotta più volte dalla tosse affidò un bacio al gesto della mano. Fiorella la rincuorò. Chiese di mostrare ancora una volta lo stesso coraggio di sempre, di non mollare e in preda alle lacrime promise di non lasciarla più.
La madre accennò un sorriso sofferente e con un blando filo di voce sussurrò di essere stata una madre orgogliosa della propria figlia. “Sii sempre attenta amore mio” riuscì a dire prima che la comunicazione si interrompesse.
Due giorni dopo, all’alba, arrivò la tragica notizia del decesso a causa di una crisi cardiaca. La madre l’aveva lasciata per sempre! La defunta non ebbe nessun funerale bensì una benedizione frettolosa, celebrata cinque giorni dopo nell’atrio del cimitero.
Le bare erano allineate in attesa di sepoltura ed erano tante. Alla funzione religiosa poterono assistere solo i parenti stretti, rammaricati di non essere riusciti a salutare i propri cari nel tragico trapasso. Avvolti nel dolore per non avergli tenuto la mano, ignari delle loro sofferenze prima di spirare.
Fiorella rimpianse di non aver mai ringraziato la madre per averle dedicato la giovinezza e la sua stessa vita. Chiese perdono per non esserle stata accanto in quel periodo ostile al mondo intero. Si domandò cosa indossasse per quel lungo viaggio pensando alla camicia da notte o ai pantaloni neri e la blusa grigia; se fosse stata avvolta in uno squallido sacco igienico o fra le trame di un candido lenzuolo. Se l’avessero pettinata e se le avessero messo un rosario fra le mani. Lei, una vittima come tante, aveva lasciato questo mondo in tutta fretta e senza l’onore di un funerale dedicato.
L’odore forte dell’incenso avvolse le bare messe in fila in attesa del turno per la cremazione. La tristezza dolorosa dei parenti raggiunse livelli disperati per quell’ immagine innaturale, privata da un bacio ultimo e da un abbraccio da custodire per sempre fra i ricordi.
Ancora in lacrime, dopo la tumulazione dell’urna, Fiorella si incamminò verso la casa della madre. Si arrestò davanti al cancello dove per l’ultima volta aveva goduto del suo calore, della sua voce e della sua dolce vista.
Era maggio e il roseto era sbocciato. Fiorella si avvicinò e respirò il profumo intenso delle rose. La madre sarebbe stata contenta di vedere il risultato delle sue amabili cure, pensò fra le lacrime. La natura, nonostante il dolore asfittico del momento, non negò lo splendore dei suoi colori né la rinascita della vita.
Improvvisamente la voce di una bambina proveniente dal giardino attiguo, mise fine alla superba considerazione. Fiorella si ritrovò a sbirciare oltre la siepe e scorse una graziosa bambina nel divertimento assicurato di pedalare la bicicletta rosa. La giovane mamma arrivò da lì a poco e porse il bicchiere d’acqua richiesto dalla figlia.
Accarezzò i capelli mielati della piccola e con dolcezza materna, prima di rientrare in casa disse: “sii sempre attenta amore mio!”

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